Museologia, serve una svolta – di Roberto Concas

    MUSEOLOGIA, SERVE UNA SVOLTA!

    Alla ricerca di un metodo

    di Roberto Concas

    Da grande cosa farai?

    Il Direttore di Museo.

    Per questa risposta, carica delle speranze dei giovani e di quelli più adulti del settore cultura, si potrebbe dare una “colpa” politica a Dario Franceschini, ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, nonché ai musei, anche privati, che appena prima del lockdown incrementavano esponenzialmente le presenze dei visitatori.

    A cinque anni dalla riforma ministeriale, avviata con il DM 171/2014 rivisitato nel 2019 e 2020, sono oltre 400 le nomine dei direttori di musei statali di cui 40 circa a capo dei grandi musei autonomi, olimpo per pochi eletti super selezionati. 

    Il MiBACT ha cambiato pelle, rafforzando il ruolo dei musei con profili di innovazione e moderne visioni, una riforma attesa da almeno vent’anni, seppure permangano alcune resistenze, malcelate volontà per un ritorno al passato e malcontenti delle Soprintendenze.

    LE NUOVE SPECIALIZZAZIONI

    Le riforme non sono mai complete o soddisfacenti per tutti, ma è intrigante notare come l’asse dell’interesse delle nuove generazioni, ultimamente, si sia spostato dalle materie classiche come l’Archeologia, mito duraturo di studio per molti, verso i musei e le professioni collegate.

    Assistiamo ad un proliferare di corsi, specializzazioni, master e dottorati riguardanti le molte materie museali, dalla gestione culturale, tecnica, manageriale, economica sino a quella della progettazione architettonica, tecnologica e della sicurezza.

    Tuttavia, si potrebbe affermare che non si tratta ancora di una vera “rivoluzione” del pensiero museale, ma più probabilmente solo di un adeguamento in corsa, un aggiornamento quasi obbligato dal continuo modificarsi della domanda e del mercato più che dell’offerta museale.

    Il dopo lockdown, appena iniziato, ne sarà un’altra dimostrazione per il quale tutti i musei sono e saranno velocemente costretti a modificare e adeguare la propria offerta culturale per rispondere ad una nuova e inimmaginabile emergenza, addirittura di tipo sanitario.

    LA MUSEALIZZAZIONE 

    Difficile dire se questa condizione data dell’emergenza, così come la riforma ministeriale e i nuovi percorsi di studio potranno concorrere o meno nel tracciare una linea netta di demarcazione verso una nuova museologia con un aggiornato pensiero teorico, per musei metodologicamente avanzati e meglio orientati verso gli indirizzi di una Umanistica Digitale.

    Il problema resta di tipo squisitamente concettuale, per il quale non possiamo mantenere vecchi schemi siano essi metodologici, che costruttivi, allestitivi o semplicemente operativi, pensando di rinnovare i musei e la loro offerta culturale. In pratica non si può continuare a fare solo dei restyling. 

    La mostra “Maria Lai. Tenendo per mano il sole” all’interno del Museo MAXXI di Roma

    MUSEI ANNI ‘70

    In questa fase, necessariamente di dibattito, potrebbe essere più semplice, ma non per questo meno dolente, provare ad elencare alcuni degli aspetti portanti che condizionano, non poco, una possibile nuova museologia, come ad esempio avvenuto intorno agli anni Settanta, con i musei privati, delle fondazioni e degli Enti Locali che “calmierarono” l’esclusiva presenza della sola offerta pubblica statale.

    Tuttavia, la pur attiva e “colorata rivoluzione” democratica dei musei locali portava nelle proprie ambizioni anche i limiti dell’obiettivo da raggiungere: arrivare agli stessi modelli museali di quelli pubblici.

    Per questi nuovi musei si “prestarono” allora per l’allestimento, la direzione e la promozione, le figure di docenti e ricercatori universitari, di archeologi come storici dell’arte, alcuni antropologi, geologi, botanici, architetti, ingegneri e persino qualche medico.

    Senza di loro la “rivoluzione museale” non sarebbe stata possibile, ma da allora poco è cambiato e alcune di queste professionalità rappresentano ancora oggi, e forse loro malgrado, la figura del direttore che, con mandato dello Stato, custodisce le chiavi delle vetrine in tasca, oppure quella del ricercatore con la “medaglietta” della direzione museale!

    LE NUOVE PROFESSIONALITÀ 

    Rarissima allora, come in buona parte ancora oggi, la presenza di museologi strutturati con esperienze di progettazione, allestimento e gestione museale con ottiche culturali come imprenditoriali, capaci di coniugare la conoscenza scientifica con la fruizione collettiva e di organizzare un’offerta museale aggiornata e vicina alla società civile.

    Fatti naturalmente i distinguo per alcuni esempi di grande levatura, più in generale sono ancora molte, e forse troppe, le professionalità “prestate” alla direzione dei musei e provenienti da indirizzi di studio specializzanti, ma senza alcuna materia specifica riguardante la musealizzazione o la gestione museale.

    È diventato indispensabile mettere ordine, prima di ogni altra cosa, nelle professionalità come negli stessi indirizzi metodologici museali, per i quali realizzare un museo o modificare un allestimento non significa commissionare un progetto architettonico con i suoi capitolati, oppure compilare fitti pannelli descrittivi, ma far convergere esperienze in un obiettivo comune e saperle coordinare.

    Molte di queste “esperienze” hanno assunto identità e ruoli molto precisi per i musei, come puntualmente scrive Andrea Concas nel suo volume ProfessioneARTE edito da Mondadori Electa, recentemente magistralmente recensito da Marco Enrico Giacomelli per Artribune. 

    MUSEO E IDENTITÀ

    Ogni museo ha una propria identità, un’anima che deve restare in relazione continua con la società che l’ha voluto, il suo territorio, il suo pubblico, i propri beni culturali, mentre le sue tecnologie, e in particolare i suoi ambienti, dovranno offrire al personale che lo cura, per molte ore al giorno e per anni, una qualità di vita e degli spazi architettonici elevata e rinnovabile.

    I musei dovranno modificare i propri sistemi di comunicazione e organizzarne molti altri per diventare universalmente “accessibili” anche online, abbattendo le barriere culturali come quelle sociali, linguistiche, fisiche architettoniche e quelle delle distanze territoriali.

    Non sarà semplice perché il cambiamento dovrà essere, insieme, radicale e nel solco della tradizione.   

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